mercoledì 28 luglio 2010

macchia si rigenera di blues


Parte stasera l'undicesima edizione del macchiabluesfestival, Macchia si rigenera di blues: dal suo lamento alle proposte critiche per lavorare un territorio meridionale altrimenti spento e silente.

La mollezza sociale logora, in questi piccoli centri autoreferenziali, possibili formazioni di culture; è ai giovani che interverranno, ancor più ai giovanissimi, che verrà consegnato gran parte del dibattito sul blues. Che possano carpirlo e farne anche loro veicolo d'emancipazione per una cura sostenibile del loro prossimo terreno di lavoro.

Con un monito di autoriflessione per rivalutare continuamente la funzione civile di un festival musicale, impedendogli l'estrema razionalizzazione delle sue funzioni, ridotte in fine all'economica e alla volonta di prestigio.

Nell'istituire pratiche educative attraverso il blues, imparino le istituzioni la sobrietà del dare merito alla formazione locale di dialoghi sul sapere, sostengano il pubblico negli spazi di autoriflessione e ne impediscano la sterilizzazione preferendo centri d'aggregazione sociale, emeroteche e spazi di libera espressione artistica autogestiti, piuttosto che continuando a costruire segnaletica, moli di abitacoli monouso per svendite oltreregione e vuoti vani di sfogo politico con l'aggiunta autorevole della celebrazione di una da tempo ridiscussa e da molti rimossa Unità d'Italia.

Un buon macchiablues!

i Warm Gun prima e dopo Ciotti

Dopo diversi fallimentari tentivi di riavere i Warm Gun al macchiablues,
quest'edizione ce la si fa.
Prima e dopo Roberto Ciotti, il primo agosto, sulla collina di Santa Maria ritornano promuovendo il loro nuovo cd "blues virus".

martedì 27 luglio 2010

i Blues Trail al dopoCineFORUM

Per le notti del 28 e 29 luglio, dopo il cineforum ci spostiamo nella piazza accanto
per seguire il concerto dei BLUES TRAIL, narratori in video, immagini e musica del da loro intensamente studiato DeltaBlues.
"Un viaggio nel Mississippi, Charley Patton, Robert Johnson, Big Bill Broonzy, il Piedmont blues di Blind Blake e il gospel di Reverend Gary Davis, racconti, storie ed aneddoti legati a questa affascinante terra che ha dato i natali a leggendari personaggi."


giovedì 22 luglio 2010

presentazione

Come di consueto, l’Associazione culturale “La Fenice” ha programmato l’undicesima edizione del Macchia Blues festival.

La manifestazione ha avuto nel corso degli ultimi anni un buon seguito, avvicinandosi agli obiettivi prefissati: sviluppo dell’informazione sulla musica blues e sulle tematiche riattualizzabili ad essa connesse, capacità di far conoscere la storia e la conservazione dei borghi rurali del Comune di Macchia d’Isernia e della provincia di Isernia, incrementando il turismo, sebbene non di massa, offrire una risposta al tedio dell’accidioso vivere nell’assenza di centri di formazione culturale esterni alla sola attività scolastica e cattolica.

Quest’anno il macchiablues verterà su di un tema specifico: i canti di lavoro nero, ovvero l’origine della schiavitù istituita per aumentare la produzione del lavoro nei campi da cui nacquero per compensazione e ausilio le forme canore del coro blues.
L’origine della dimensione alienata del lavoro nero sarà solo uno spunto per gettare lo sguardo sulle dinamiche contemporanee della difficoltà d’emancipazione della classe lavoratrice, con particolare attenzione alle dimensioni delle nuove deportazioni mediterranee e dell'assoggettamento dei lavoratori alle mafie nel mezzogiorno.

Un'occasione per riflettere su di un tema cruciale che riguarda anzitutto lo sfilacciamento del settore pubblico attraverso le larghe maglie del lavoro svilito.

Propoiamo così, accanto alla formula del concorso musicale per chitarra, attività d’approfondimento attraverso differenti forme d’arte: interventi, presentazioni, cineforum, estemporanea d’arte, workshop, percorso tematico sull’evoluzione del concetto di lavoro.

Gli stessi concerti itineranti sono stati pensati sulla base del tema: Daniele Tenca presenterà il 30 Luglio il suo “Blues for the working class”, così come i Dr. Sunflower, vicini agli sviluppi della tensione sociale causata dalla scelta della Fiat su Pomigliano d'Arco, eseguiranno i canti di lavoro della tradizione blues.

Il 1° Agosto si chiuderà con il concerto di Roberto Ciotti, alfiere del blues made in italy, nella suggestiva cornice della zona archeologica della collina di Santa Maria di Loreto.

Un buon macchiablues,
ancora una volta!

mercoledì 21 luglio 2010

i'aint got to stay hier!

Il blues fu anzitutto una forma di contenuta rivolta all'oppressione, dalla quale si generò presto un canto di lavoro nero; e ciò nella sua doppia figurazione: (1)come lenimento di un male atavico: l’estirpazione dal luogo natio e l’insediamento in una terra inabitudinaria, un Oltreoceano, quando l’Atlantico, inconscio ai nativi d’Africa, ben presto divenne un’immensa gabbia liquida; e (2)come affezione del Tragico, ovvero la tonalità di una manifesta condizione di soggezione fisica e di un malcntento ad essa sudditante che queste grida prossime alla più verace naturalezza delle cose espressero.

L’interesse del macchiablues è, per quest’anno, riflettere a partire dalla dimensione rurale dei Fieldhollers (le grida dei campi di lavoro), come da quella coercitiva dei Chaingang songs (i canti dei lavori forzati di gruppo) per rioriginare fonti di un dibattito oggi cruciale: il malaffare e malumore del lavoro improprio, che, se allora potè essere alleviato (1)con l’ausilio della ridondante forma improvvisata call & response (la battuta di chiamata e la risposta corale), assai utile per ritmare la raccolta e il malsopportato trasporto dei materiali punitivi, rischia oggi di racogliere solo silenzi indifferenti.
Di quell’originario malessere l’industria musicale del novecento canonizzò il tormento nella forma a dodici battute, ripetitiva e insistente, accompagnata dal lamento ostinato ch’è divenuto, nel convertirsi a canto corale, espressione di speranza e monito d’incoraggiamento per concedere, a loro tempo, ai seviziati Neri d’America di farsi pionieri di una possibile emancipazione nei luoghi dello spettacolo, dai minstrel shows alle registrazioni del blues, per passare al jazz, forme compiute del compromesso tra gli usi bianchi su costume nero.
L'ascolto del blues divenne presto l’esercizio esorcizzante, per mezzo del canto, di quel triste umore che affannava l’animo; lo si doveva bandire, andava iellato. Lo si doveva urlare via per trascendere un’ineluttabile schiavitù concepita parte del diritto civile dei coloni e utilizzata, pavidamente, sul bacino di sfruttamento a loro più diretto.
E, come allora, sfruttati si è ancora oggi nella taciuta, ipocrita fattualità del lavoro “nero”, cugino di quello, e con il quale schiere di malcapitati nativi d’Africa, come anonimi malriusciti operai d’Italia, sembrano chiedere una via d’uscita e un’àncora di sopravvivenza: un’esistenza slegata dalla sofferenza e, pur originandosi da quella, speranzosamente rivolta all’utopia della liberazione.

Con questo festival s’è dato chiaramente un taglio alla sceneggiatura per potere ridestare nuovi discorsi sulle schiavitù odierne che la complessa offerta di lavoro crea, tracciare rettilinee tra la tratta degli schiavi e le migrazioni forzate che, non cessando, costituiscono lo snodo delle odierne politiche e subpolitiche del Mediterraneo.
Nel ritornare alle origini per capire il Blues, ci rendiamo conto dunque della urgente necessità che s’ha di tornare anche a riparlare della condizione attuale del lavoro: nero: perché tale è rimasta, nel nostro linguaggio comune e in quello delle istituzioni, quella fatica prestata a vantaggio d’altri e priva d’una regolamentazione, estranea alla legalità e invisa ai diritti del lavoratore: autentica forma di schiavizzazione, una Rosarno ove è passivamente accettato il potere irresistibile di un padrone sulla persona che ne dipende e l’arbitrarietà dello scambio ineguale tra i due;
ma nero esso è ancora e anzitutto perché, nella più vicina attualità, continua ad arrivare soprattutto da un continente, quello africano, che s’arrende, allora come oggi, alla schiavitù e ai bianchi, alle eccedenze delle multinazionali e ai loro consumi, incontrandoci quasi indifferenti, se non del tutto ignari che da una sponda all’altra della terra, attraverso il mare, trecento anni fa come ancor'oggi una moltitudine di volti s’accalca in cerca di dignità, ma ritrova al più il solo suo tormento,, e noi, occidentali, ritorniamo ai loro nostri blues.

lunedì 19 luglio 2010

locandina

Locandina dell'Edizione XIII
Macchia Blues 2012


Locandina 2011 
XII edizione



Locandina dell'edizione XI,
Macchia Blues 2010

La locandina dell'edizione undicesima, composta da Manuel Malatesta, propone una delle prime raffigurazoni anonime sulle worksongs risalente al 1780.

L'abbiam trovata appropriata alla tematica del blues come canto di lavoro perchè ne figura in pieno la semantica, offrendo un aiuto alla comprensione di quanto la vita dei deportati si fosse sviluppata intorno all'ausilio della musica come affermazione del tragico: il vivere nei regimi forzati della convivenza con il lavoro imposto, come invocazione del lontano spirito di casa: il tormentato blues, e come organizzazione dei pressanti ritmi lavorativi.
Eppure l'immagine testimonia, forse più che del lamento, di un residuo della giovialità con la quale, presumibilmente, si danzava secondo gli usi e costumi originari delle popolazioni africane. Non v'è traccia infatti d'un padrone bianco, vi é però forse la bianchezza del figuratore, essendo l'occhio pittorico evidentemente bianco, sia per tecnica che gradazione.
Accanto al tamburello: il banjar, strumento originario dell'area etno-geografica del Senegambia, dalla quale venne prelevata la maggior quantità di carico negriero nella seconda metà del XVIII secolo, e progenitore del riadattato banjo a cinque corde.
La disposizione dei danzatori (apparente contrapposizione tra suonatori maschi più danzatore con bastone, a destra e danzatrici con velo, a sinistra) divide le funzioni dei partecipanti in un trittico di cui il maschio con bastone rappresenterebbe la figura intorno alla quale grativa l'accerchiamento protettivo e l'istigazione al movimento delle donne con velo.
In atto è dunque un rituale di corteggiamento, dal quale la coppia in alto a destra potrebbe essere fuoriuscita. Di più certa interpretazione la geografia del panorama alle spalle dei musici in primo piano, raffigurante l'ambiente campestre con i filari di casolari rurali in legno destinati ai loro coltivatori, riunitisi in una piazza aperta tra le abitazioni per giocare il blues.

Al di là delle possibilità descrittive, resti l'essere quest'anonima figura una celebre testimonianza dell'esistenza, fin dal XVIII secolo, non solo di una praticata usanza musicale presso i lavoratori delle piantagioni, ma soprattutto della consapevolezza di quest'usanza come parte integrante i ritmi di vita dei coltivatori.

venerdì 16 luglio 2010

inserito il programma

Inserito il programma definitivo, a margine di arricchimenti o variazioni in corso d'opera.
Buona lettura!

giovedì 15 luglio 2010

1° agosto con Roberto Ciotti sulla collina di Santa Maria

Il primo di Agosto la chiusura dell'undicesima edizione sarà affidata a Roberto Ciotti.
Dopo il ritorno di Paolo Giordano per il duemilanove, quest'anno si ripresenta, a distanza di ben quindici anni dal loro primo incontro, la possibilità di ascoltare il bluesman che forse più di tutti ha rappresentato nel frattempo il contributo italiano allo sviluppo di questa forma d'arte.
Ha da poco siglato l'uscita del suo ultimo album Troubles & Dream, di cui presenterà i brani in occasione dell'ultima serata presso la zona archeologica della chiesetta di Santa Maria, in cima alla pineta di Macchia d'Isernia.

domenica 11 luglio 2010

macchiablues, le date.

Il macchia blues torna quest’anno per l’ultima settimana di Luglio e fino al primo di Agosto.

Tema conduttore sarà il lavoro nero e suoi canti.

A breve il programma definitivo.